giovedì 7 aprile 2011

Overhaul di Steve Rattner, Libro che fa arrabbiare Marchionne

Steve Rattner - Overhaul
Le litigate di Marchionne con i sindacati americani, il piano B del governo Usa: mollare tutto alla Gm. La trattativa Fiat-Chrysler-Casa Bianca raccontata da Rattner, mediatore di Obama
«Io osservai la faccia di Ron Gettelfinger ndr] avvampare e irrigidire i muscoli della mascella quando si rese conto che Sergio voleva ridefinire l'intero accordo, Infine parlò. "Voi" disse, con la voce che cresceva di tono, "siete quelli con due case. Noi siamo gente semplice, persone medie. Noi stiamo solo tentando di vivere e ci viene chiesto troppo". Era arrabbiato con la task force, con la Chrysler, ma specialmente con la Fiat. Puntando il dito verso Sergio, Gettelfinger disse gelidamente, "noi avevamo un accordo"».
Il ruolo di Rattner
E' un passaggio del libro di Steve Rattner - Overhaul, Houghton Mifflin Harcourt, 2010 - di cui qui riassumiamo, per il lettore italiano, la natura e le ragioni delle scelte finali fatte dall'amministrazione Obama nel salvataggio dell'industria dell'auto di Detroit, con particolare attenzione alla Chrysler e al ruolo di Sergio Marchionne. Steven Rattner è stato consulente del segretario del Tesoro statunitense Timothy Geithner dal febbraio al luglio del 2009, per guidare il salvataggio dell'industria automobilistica statunitense, come capo della task force presidenziale sull'industria dell'auto. Rattner, ex giornalista del New York Times, membro della comunità finanziaria Usa, esperto in investimenti di private equity, cioè di investimenti societari non necessariamente mediate dalle azioni di Borsa, e in fusioni e acquisizioni di società, nulla sapeva dell'industria dell'auto. Nel luglio del 2009 viene costretto a lasciare il ruolo di consulente dell'Amministrazione per un'inchiesta della Sec, l'autorità di borsa di Wall Street, per un'accusa di truffa ai danni di un fondo pensioni di New York. Archiviata la settimana scorsa dopo che Rattner ha accettato di pagare 6,2 milioni di dollari.
«Subito il 35%»
Il racconto di Rattner va riportato quasi integralmente perché rende giustizia delle tante favole raccontate dalla stampa italiana. Dopo il primo scontro con Gettelfinger, il capo di Uaw, la trattativa sulla Chrysler proseguì in vari incontri per cercare di raggiungere un accordo entro la data limite del primo maggio. Da un lato vi era l'assetto proprietario. La trattativa con Marchionne con il governo fu difficile; pretendeva, senza investire un centesimo, di avere il 35% di proprietà sin dall'inizio a fronte del contributo in tecnologia ed esperienza manageriale. L'accordo finale fu che la Fiat acquisiva il 20%, poi a certe condizioni un altro 15%, e che passo dopo passo, ognuno dei quali verificabile, poteva salire sino al 49% e di lì non muoversi fino a che il debito col Tesoro non fosse stato pienamente ripagato.
Dall'altra vi fu la trattativa, mediata dal governo, con il sindacato. Il termine «mediata» è improprio perché il governo era doppiamente vincolato, dalle tre condizioni iniziali e dalla raccomandazione di Obama di essere duri con tutte le parti interessate. E anche per venire a patti con il furore politico che la decisione di salvataggio con denaro pubblico aveva scatenato nel parlamento e nel paese. Il sindacato quindi si trovò ad affrontare una doppia pressione. Marchionne, che aveva assicurato tutti di non vedere nessuna difficoltà a trovare un accordo con il sindacato, nelle parole di Rattner si trasformò: il dottor Jekyll divenne il mister Hyde.
Marchionne si mise a fare una conferenza al presidente del sindacato sulla necessità di una «cultura della povertà» contro una «dei diritti» (entitlement), attaccando in modo particolare i benefici sanitari dei pensionati e la cosa peggiorò ulteriormente quando lui si mise a spiegare i cambiamenti che voleva nel contratto. Cambiamenti che lui chiamava «tweaks»: in gergo motoristico sono i piccoli aggiustamenti finali per fare funzionare meglio un motore.
Finisce in rissa
I «tweaks», una volta calcolati, corrispondevano ad un taglio di 5$ all'ora. Gettelfinger gli rispose a muso duro: «Perché non viene con me a spiegare a una vedova di 75 anni che non può avere un operazione chirurgica e che lei ha ucciso suo marito?». L'incontro terminò in una rissa. La situazione continuò così anche se Gettelfinger sapeva di essere in un angolo. La fase finale degli accordi riguardò il fondo sanitario per i dipendenti e le paghe.
Il primo è il Voluntary Employee Bneficiary Association (Veba), il fondo cioè creato nel 2007 da un accordo tra la Chrysler e il sindacato, per gestire i benefici sanitari dei pensionati. L'accordo prevedeva una contribuzione una tantum di 8,8 miliardi di dollari dopo di che il tutto sarebbe passato sotto la responsabilità del fondo Veba. Nel dicembre del 2008 la seconda delle condizioni dell'accorso si traduceva nella trasformazione di metà di quei soldi, cioè 4,25 miliardi di dollari, da un versamento in denaro contante alla cessione di azioni.
Il governo americano, avendo fatto l'accordo con la Fiat per un totale massimo del 35% delle azioni, doveva allocare il restante 65%, con l'obiettivo di mantenere una posizione assolutamente minoritaria.
A chi dare le azioni? I creditori sembravano poco interessati e quindi si decise di darne il 55% al fondo Veba che poteva designare un membro nel board della Chrysler, approvato dal sindacato, senza diritto di voto. Per la parte pagata in denaro contante l'accordo prevedeva pagamenti annuali dal 2010 al 2019. Il sacrifico pagato dai lavoratori venne calcolato, dal team governativo, pari a un taglio del 40% del piano sanitario. Alla fine, lite dopo lite, l'accordo fu firmato.
«Sergio deve comprendere»
Per dare il senso di quanto era accaduto, Rattner racconta che quando il consulente e negoziatore della Fiat porse la mano a Gettelfinger, in nome e per conto di Marchionne che non era presente, egli si rifiutò di stringerla dicendo: «Questo accordo ferisce molta gente (hurts people), questo è qualcosa che Sergio deve comprendere, non è il momento di essere contenti (feel good)». La cosa generò qualche agitazione anche il giorno dopo e poiché il consulente della Fiat non capiva la durezza della reazione, allora il rappresentante del governo, un veterano delle ristrutturazioni industriali dell'acciaio, gli spiegò: «Voi avete appena cancellato cento anni di contrattazione collettiva».
Sulle paghe la trattativa fu ancora più piena di astio e veleno. Essa si svolse in parallelo a quella tra la Fiat e il management Chrysler, che non fu da meno visto che Marchionne non riconosceva più l'accordo di febbraio e la delegazione governativa faticò non poco per trovare un'intesa. Per quanto riguarda le paghe, cioè la terza condizione, non si trovava un accordo malgrado fosse chiaro che le paghe base non erano così differenti da quelle delle fabbriche dei costruttori giapponesi. C'erano altre sorgenti di costo e un sistema di classificazione professionale particolarmente intricato.
Paghe dimezzate
Nel 2007 vi era stato l'accordo che consentiva, entro una determinata percentuale massima, di assumere dei lavoratori con una paga dimezzata, 14 contro 28 dollari/ora. Il sindacato accettò di alzare la percentuale di lavoratori assumibili, ma ciò non bastava alla Fiat. Di qui la proposta della delegazione governativa, prima presentata a Marchionne, poi a Gettelfinger, di una tregua sindacale per due contratti, un congelamento delle paghe sino a tutto il 2011 e dopo un arbitrato obbligatorio che verificasse l'allineamento delle paghe con le fabbriche dei giapponesi.
Malgrado questo pacchetto Marchionne disse prima sì, poi no, poi tornò in Italia e infine accettò. Gettelfinger ci pensò un'ora, poi, consapevole che l'alternativa era solo il fallimento, accettò. La storia non era però finita, l'atteggiamento di continuo rilancio di Marchionne - dice Rattner che gli accessi d'ira (outburst) di Sergio erano diventati esagerati (extreme) - anche su altre parti dell'accordo (quali il problema della ristrutturazione della rete di vendita) riaprirono nella delegazione governativa una riflessione su un piano B: la Gm avrebbe acquisito la parte migliore della Chrysler ed il resto sarebbe stato liquidato, sia pure in modo ordinato.
Nel piano B vi sarebbe stato un sostanziale risparmio di denaro pubblico, circa 4,5 miliardi di dollari, e inoltre la Gm sarebbe diventata molto più profittevole, alzando in modo sostanziale il valore delle azioni e quindi anche il valore dell'investimento del Tesoro; problema che la recente offerta pubblica di titoli (IPO) della Gm mostra in tutta la sua ampiezza. I sostenitori di questa tesi la elaborarono in un vero e proprio piano con anche un calcolo delle perdite occupazionali che sarebbero state, a loro dire, solo di 35.000 unità in più - 60.000 contro 25.000 - rispetto al piano con la Fiat. Alla fine prevalse la linea dell'accordo con Torino, passando, come era previsto con la Gm, per un fallimento pilotato e con un sostegno del governo pari a 8,1 miliardi di dollari.
Dopo che la Chrysler fu messa nelle mani di Marchionne, iniziò il processo di ristrutturazione, processo che, a giudizio di Rattner, vide all'opera un Marchionne abile manager. Qui termina il suo racconto.
Fonte: il manifesto
A cura di Francesco Garibaldo

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