martedì 12 aprile 2011

David Icke in Italia - Roma 30 aprile 2011





10 motivi per votare SI al referendum sul nucleare


1. Il nucleare è molto pericoloso
La tragedia di Cernobyl ha dimostrato la pericolosità di questa fonte di energia. Quell’incidente ha causato e causerà ancora nel futuro centinaia di migliaia di vittime e ancora oggi a 23 anni di distanza le ricerche scientifiche mostrano ancora impatti sia sulla flora che sulla fauna. Cresce l’evidenza di leucemie infantili nelle aree vicino alle centrali nucleari.
2. Il nucleare è la fonte di energia più sporca
Le centrali nucleari generano scorie radioattive. Le scorie a vita media rimangono radioattive da 200 a 300 anni, le scorie a vita lunga anche miliardi di anni e non esiste ancora un sistema per la gestione in sicurezza delle scorie nel lungo periodo.
3. Il nucleare è la fonte di energia che genera meno occupazione
Gli obiettivi europei per le fonti rinnovabili e l'efficienza energetica al 2020 valgono il triplo del piano nucleare di Enel in termini energetici e creerebbero almeno 200 mila nuovi posti di lavoro "verdi" e dunque 10-15 volte l’occupazione indotta dal nucleare.
4. Il nucleare è troppo costoso
Secondo il Dipartimento USA dell’energia un EPR costa, in euro, 7,5 miliardi, una cifra ben maggiore rispetto a quanto propagandato da Enel e governo (4,5 miliardi). Se poi teniamo conto dello smaltimento delle scorie e dello smantellamento e bonifica degli impianti nucleari, i costi per noi e le future generazioni saranno ancora più elevati.
5. Il nucleare non è necessario
Entro il 2020 le fonti rinnovabili, insieme a misure di efficienza energetica, sono in grado di produrre quasi 150 miliardi di kilowattora, circa tre volte l'obiettivo di Enel sul nucleare, tagliando drasticamente le emissioni di CO2.
6. Il nucleare è una falsa soluzione per il clima
Il nucleare è una scelta inutile ai fini climatici, visto che le centrali saranno pronte certamente dopo il 2020 e invece bisogna ridurre oggi le emissioni di gas serra. Investire sul nucleare sottrae risorse alle fonti davvero pulite, efficienza energetica e rinnovabili.
7. Il nucleare non genera indipendenza energetica
Se il nucleare dovesse tornare in Italia, continueremo a importare petrolio per i trasporti e diventeremo dipendenti dall’estero per l’Uranio e per la tecnologia, visto che il nuovo reattore EPR è un brevetto francese. E, comunque, la Francia leader del nucleare ha consumi procapite di petrolio superiori a quelli italiani.
8. Il nucleare è una risorsa limitata
L'Uranio è una risorsa molto limitata destinata a esaurirsi in poche decine di anni. Nel caso venissero costruiti nuove centrali, l'esaurimento delle risorse di Uranio si accelererebbe.
9. Il nucleare non ha il sostegno dei cittadini
Gli italiani hanno detto NO al nucleare con un'importante scelta referendaria. Oggi i sondaggi di opinione rivelano che la maggior parte dei cittadini non vuole una centrale nucleare nella propria Regione.
10. Il nucleare: più è lontano e minori sono i rischi
Alcuni sostengono che il rischio nucleare c’è già, essendo l’Italia circondata da reattori. È una affermazione scorretta: anche se non è mai nullo, il rischio per le conseguenze di un incidente diminuisce maggiore è la distanza dalla centrale. Le Alpi, come si è visto nel caso di Cernobyl, sono una parziale barriera naturale per l’Italia.

Dal sito di Greenpeace www.nuclearlifestyle.it

venerdì 8 aprile 2011

Paniz VS Travaglio su prescrizione breve e processi di Berlusconi


La rinuncia alla prescrizione del reato

L'art. 157 cp, prevede che la prescrizione possa essere oggetto di rinuncia al fine di conseguire una pronuncia di assoluzione nel merito. Ai fini della valida rinuncia alla prescrizione è, tuttavia, necessario che la stessa sia interamente decorsa.

La preghiera di Celentano contro il nucleare



giovedì 7 aprile 2011

La barzelletta di Berlusconi

Overhaul di Steve Rattner, Libro che fa arrabbiare Marchionne

Steve Rattner - Overhaul
Le litigate di Marchionne con i sindacati americani, il piano B del governo Usa: mollare tutto alla Gm. La trattativa Fiat-Chrysler-Casa Bianca raccontata da Rattner, mediatore di Obama
«Io osservai la faccia di Ron Gettelfinger ndr] avvampare e irrigidire i muscoli della mascella quando si rese conto che Sergio voleva ridefinire l'intero accordo, Infine parlò. "Voi" disse, con la voce che cresceva di tono, "siete quelli con due case. Noi siamo gente semplice, persone medie. Noi stiamo solo tentando di vivere e ci viene chiesto troppo". Era arrabbiato con la task force, con la Chrysler, ma specialmente con la Fiat. Puntando il dito verso Sergio, Gettelfinger disse gelidamente, "noi avevamo un accordo"».
Il ruolo di Rattner
E' un passaggio del libro di Steve Rattner - Overhaul, Houghton Mifflin Harcourt, 2010 - di cui qui riassumiamo, per il lettore italiano, la natura e le ragioni delle scelte finali fatte dall'amministrazione Obama nel salvataggio dell'industria dell'auto di Detroit, con particolare attenzione alla Chrysler e al ruolo di Sergio Marchionne. Steven Rattner è stato consulente del segretario del Tesoro statunitense Timothy Geithner dal febbraio al luglio del 2009, per guidare il salvataggio dell'industria automobilistica statunitense, come capo della task force presidenziale sull'industria dell'auto. Rattner, ex giornalista del New York Times, membro della comunità finanziaria Usa, esperto in investimenti di private equity, cioè di investimenti societari non necessariamente mediate dalle azioni di Borsa, e in fusioni e acquisizioni di società, nulla sapeva dell'industria dell'auto. Nel luglio del 2009 viene costretto a lasciare il ruolo di consulente dell'Amministrazione per un'inchiesta della Sec, l'autorità di borsa di Wall Street, per un'accusa di truffa ai danni di un fondo pensioni di New York. Archiviata la settimana scorsa dopo che Rattner ha accettato di pagare 6,2 milioni di dollari.
«Subito il 35%»
Il racconto di Rattner va riportato quasi integralmente perché rende giustizia delle tante favole raccontate dalla stampa italiana. Dopo il primo scontro con Gettelfinger, il capo di Uaw, la trattativa sulla Chrysler proseguì in vari incontri per cercare di raggiungere un accordo entro la data limite del primo maggio. Da un lato vi era l'assetto proprietario. La trattativa con Marchionne con il governo fu difficile; pretendeva, senza investire un centesimo, di avere il 35% di proprietà sin dall'inizio a fronte del contributo in tecnologia ed esperienza manageriale. L'accordo finale fu che la Fiat acquisiva il 20%, poi a certe condizioni un altro 15%, e che passo dopo passo, ognuno dei quali verificabile, poteva salire sino al 49% e di lì non muoversi fino a che il debito col Tesoro non fosse stato pienamente ripagato.
Dall'altra vi fu la trattativa, mediata dal governo, con il sindacato. Il termine «mediata» è improprio perché il governo era doppiamente vincolato, dalle tre condizioni iniziali e dalla raccomandazione di Obama di essere duri con tutte le parti interessate. E anche per venire a patti con il furore politico che la decisione di salvataggio con denaro pubblico aveva scatenato nel parlamento e nel paese. Il sindacato quindi si trovò ad affrontare una doppia pressione. Marchionne, che aveva assicurato tutti di non vedere nessuna difficoltà a trovare un accordo con il sindacato, nelle parole di Rattner si trasformò: il dottor Jekyll divenne il mister Hyde.
Marchionne si mise a fare una conferenza al presidente del sindacato sulla necessità di una «cultura della povertà» contro una «dei diritti» (entitlement), attaccando in modo particolare i benefici sanitari dei pensionati e la cosa peggiorò ulteriormente quando lui si mise a spiegare i cambiamenti che voleva nel contratto. Cambiamenti che lui chiamava «tweaks»: in gergo motoristico sono i piccoli aggiustamenti finali per fare funzionare meglio un motore.
Finisce in rissa
I «tweaks», una volta calcolati, corrispondevano ad un taglio di 5$ all'ora. Gettelfinger gli rispose a muso duro: «Perché non viene con me a spiegare a una vedova di 75 anni che non può avere un operazione chirurgica e che lei ha ucciso suo marito?». L'incontro terminò in una rissa. La situazione continuò così anche se Gettelfinger sapeva di essere in un angolo. La fase finale degli accordi riguardò il fondo sanitario per i dipendenti e le paghe.
Il primo è il Voluntary Employee Bneficiary Association (Veba), il fondo cioè creato nel 2007 da un accordo tra la Chrysler e il sindacato, per gestire i benefici sanitari dei pensionati. L'accordo prevedeva una contribuzione una tantum di 8,8 miliardi di dollari dopo di che il tutto sarebbe passato sotto la responsabilità del fondo Veba. Nel dicembre del 2008 la seconda delle condizioni dell'accorso si traduceva nella trasformazione di metà di quei soldi, cioè 4,25 miliardi di dollari, da un versamento in denaro contante alla cessione di azioni.
Il governo americano, avendo fatto l'accordo con la Fiat per un totale massimo del 35% delle azioni, doveva allocare il restante 65%, con l'obiettivo di mantenere una posizione assolutamente minoritaria.
A chi dare le azioni? I creditori sembravano poco interessati e quindi si decise di darne il 55% al fondo Veba che poteva designare un membro nel board della Chrysler, approvato dal sindacato, senza diritto di voto. Per la parte pagata in denaro contante l'accordo prevedeva pagamenti annuali dal 2010 al 2019. Il sacrifico pagato dai lavoratori venne calcolato, dal team governativo, pari a un taglio del 40% del piano sanitario. Alla fine, lite dopo lite, l'accordo fu firmato.
«Sergio deve comprendere»
Per dare il senso di quanto era accaduto, Rattner racconta che quando il consulente e negoziatore della Fiat porse la mano a Gettelfinger, in nome e per conto di Marchionne che non era presente, egli si rifiutò di stringerla dicendo: «Questo accordo ferisce molta gente (hurts people), questo è qualcosa che Sergio deve comprendere, non è il momento di essere contenti (feel good)». La cosa generò qualche agitazione anche il giorno dopo e poiché il consulente della Fiat non capiva la durezza della reazione, allora il rappresentante del governo, un veterano delle ristrutturazioni industriali dell'acciaio, gli spiegò: «Voi avete appena cancellato cento anni di contrattazione collettiva».
Sulle paghe la trattativa fu ancora più piena di astio e veleno. Essa si svolse in parallelo a quella tra la Fiat e il management Chrysler, che non fu da meno visto che Marchionne non riconosceva più l'accordo di febbraio e la delegazione governativa faticò non poco per trovare un'intesa. Per quanto riguarda le paghe, cioè la terza condizione, non si trovava un accordo malgrado fosse chiaro che le paghe base non erano così differenti da quelle delle fabbriche dei costruttori giapponesi. C'erano altre sorgenti di costo e un sistema di classificazione professionale particolarmente intricato.
Paghe dimezzate
Nel 2007 vi era stato l'accordo che consentiva, entro una determinata percentuale massima, di assumere dei lavoratori con una paga dimezzata, 14 contro 28 dollari/ora. Il sindacato accettò di alzare la percentuale di lavoratori assumibili, ma ciò non bastava alla Fiat. Di qui la proposta della delegazione governativa, prima presentata a Marchionne, poi a Gettelfinger, di una tregua sindacale per due contratti, un congelamento delle paghe sino a tutto il 2011 e dopo un arbitrato obbligatorio che verificasse l'allineamento delle paghe con le fabbriche dei giapponesi.
Malgrado questo pacchetto Marchionne disse prima sì, poi no, poi tornò in Italia e infine accettò. Gettelfinger ci pensò un'ora, poi, consapevole che l'alternativa era solo il fallimento, accettò. La storia non era però finita, l'atteggiamento di continuo rilancio di Marchionne - dice Rattner che gli accessi d'ira (outburst) di Sergio erano diventati esagerati (extreme) - anche su altre parti dell'accordo (quali il problema della ristrutturazione della rete di vendita) riaprirono nella delegazione governativa una riflessione su un piano B: la Gm avrebbe acquisito la parte migliore della Chrysler ed il resto sarebbe stato liquidato, sia pure in modo ordinato.
Nel piano B vi sarebbe stato un sostanziale risparmio di denaro pubblico, circa 4,5 miliardi di dollari, e inoltre la Gm sarebbe diventata molto più profittevole, alzando in modo sostanziale il valore delle azioni e quindi anche il valore dell'investimento del Tesoro; problema che la recente offerta pubblica di titoli (IPO) della Gm mostra in tutta la sua ampiezza. I sostenitori di questa tesi la elaborarono in un vero e proprio piano con anche un calcolo delle perdite occupazionali che sarebbero state, a loro dire, solo di 35.000 unità in più - 60.000 contro 25.000 - rispetto al piano con la Fiat. Alla fine prevalse la linea dell'accordo con Torino, passando, come era previsto con la Gm, per un fallimento pilotato e con un sostegno del governo pari a 8,1 miliardi di dollari.
Dopo che la Chrysler fu messa nelle mani di Marchionne, iniziò il processo di ristrutturazione, processo che, a giudizio di Rattner, vide all'opera un Marchionne abile manager. Qui termina il suo racconto.
Fonte: il manifesto
A cura di Francesco Garibaldo

Più prezioso dell'oro: l'acqua!

martedì 5 aprile 2011

Stanchi di ricevere telefonate a scopo commerciale e di marketing?

Cos'è il registro delle opposizioni ?

Il registro delle opposizioni è un elenco a cui iscrivere il proprio numero di telefono se non si vogliono ricevere più telefonate pubblicitarie.

Il registro delle opposizioni è stato istituito con una legge del 2009 ed entra in funzione dal 1 febbraio 2011.

Se il proprio numero è presente in un elenco telefonico dal 1 febbraio 2011 sarà possibile per chiunque chiamarvi per scopi commerciali e promozionali.

Una volta iscritti nel registro delle opposizioni, nessuno potrà farvi telefonate pubblicitarie o promozionali solo perchè il vostro numero è su un elenco telefonico.

Come ci si iscrive al registro delle opposizioni ?

Dal 1 febbraio 2011 si può iscrivere al registro il proprio numero di telefono in cinque modi:

1 - telefonando (dal numero di telefono che si vuole iscrivere) al numero verde gratuito 800.265.265

2 - andando sul sito www.registrodelleopposizioni.it e compilando un modulo online.

3 - inviando una mail all'indirizzo: abbonati.rpo@fub.it.

Nella richiesta di iscrizione si devono indicare il numero telefonico da inserire nella lista e i dati anagrafici: nome, cognome, codice fiscale dell'abbonato.

Qui si può scaricare il modulo.

4 - via fax al 06.5424822

5 - inviando una raccomandata a:

Gestore registro pubblico delle opposizioni - abbonati
Uffico Roma Nomentano
Casella postale 7211
00162 Roma Rm

L'iscrizione al registro delle opposizioni è gratuita, a tempo indeterminato e revocabile.

lunedì 4 aprile 2011

Lo stato e la scuola Pubblica!

Piero Calamandrei
Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.

Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime... Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico"


Piero Calamandrei - discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l'11 febbraio 1950